L’Italia ha fatto da trampolino di lancio per la guerra radioattiva del Kosovo. Se non ci fosse stata l’Italia la guerra non si sarebbe fatta.
Testo: Roberto De Bortoli
Proprio in questi giorni, su diverse testate giornalistiche, si fa un gran parlare di armamenti all’uranio impoverito utilizzati nella guerra in Kosovo e delle loro ripercussioni ambientali. Certo è che sulla fascia dei Balcani sono state gettate circa 31.000 bombe all’U238. Questo cosa comporterà? Sicuramente un aumento graduale e costante nel tempo della radioattività ambientale media del pianeta, sia in quelle zone che in quelle limitrofe, dato che – secondo lo studio dello scienziato indipendente A. Dietz – le nuvole radioattive formatesi, composte da particelle Alfa di 0.3 micron (aerosol), si diffondono fino a 500 o persino 800 Km dal punto di impatto e, in teoria, possono fare il giro del mondo. Queste particelle emettono radiazioni Alfa, inalabili con l’aria, oppure ingeribili attraverso i cibi e l’acqua.
La contaminazione radiotossica, dopo avere visto gli effetti sui veterani americani in Irak, sui loro nascituri e sui bimbi Iracheni che nascono deformi, assume delle proporzioni temibili in relazione al patrimonio genetico umano. Purtroppo alcuni “luminari” imbonitori continuano a minimizzare gli effetti dell’U.I., evitando di dire che la vera pericolosità di questo metallo pesante non è tanto radioattiva quanto tossica-nociva. Esso viene definito: cancerogeno, mutagenico e genotossico, nonché responsabile di immunodeficienza.
DANNI PRESENTI E FUTURI
Nei Balcani, una peste si va propagando: si espande su tutto il territorio, là dove tutti pensano a recuperare le proprie cose, i propri fazzoletti di terra, ma nessuno si rende conto che essi sono completamente contaminati. I soldati della forza multinazionale sono insediati in un’area estremamente pericolosa per la loro salute.
Un territorio che è stato avvelenato con circa 10 tonnellate di uranio impoverito, dal nostro punto di vista è invivibile: basta pensare al caso di Amsterdam. Quando, nel 1992, vi precipitò un Boeing747, bruciarono i circa 200 Kg. di uranio impoverito contenuto nei contrappesi dei timoni di coda e rimasero contaminate circa 10.000 persone, tra cui Vigili del Fuoco e Forze dell’Ordine (ne derivarono casi di leucemia, stanchezza cronica, malformazione dei feti, ecc.).
Lo stesso Diritto Umanitario di Guerra della Corte Internazionale di Giustizia, considera come atti interdetti l’uso di armi che provochino danni estesi e duraturi all’ambiente e conseguenze sulle generazioni future (il tempo di dimezzamento dell’U238 è pari a 4,5 miliardi di anni: l’età del sistema Solare).
DICHIARAZIONI PREOCCUPANTI
I problemi a cui andranno incontro le popolazioni residenti nei Balcani e i soldati del Contingente Internazionale sono sintetizzabili in queste affermazioni, in cui si riscontra la conoscenza degli effetti dell’uranio impoverito sulla salute umana, da parte dell’amministrazione USA:
“Stiamo semplicemente mettendo in luce il livello potenziale di esposizione all’uranio impoverito del personale militare durante il combattimento, che sarebbe inaccettabile durante operazioni in tempo di pace.” (SAIC, July 1990, Vol 1, 4-5)
“L’uranio impoverito è un emettitore di radiazioni alfa che provocano il cancro ed una tossicità chimica che causa danni ai reni.” (SAIC, July 1990, Vol 1, 2-2)
“Gli effetti a breve termine di alte dosi possono portare alla morte, mentre gli effetti di basse dosi a lungo termine sono legati al cancro.” (SAIC, July 1990, Vol 1, 4-12)
“Il personale all’interno o vicino (a meno di 50 metri) ad un veicolo blindato nel momento in cui questo viene colpito da munizioni all’uranio impoverito, può ricevere una contaminazione interna significativa (cioè superiore agli standard consentiti).”
(Dichiarazione fatta dal Col. Eric Daxon – Radiation Protection Staff Officer, US Army Medical Command – riassumendo i risultati di un rapporto del dicembre 1989 emesso dal “Ballistic Research Laboratory, Radiological Contamination From Impacted Abrams Heavy Armor.” Fliszar. et. al.)
IL NOSTRO URANIO QUOTIDIANO
È venuto il momento di divulgare e analizzare attentamente la legge WHA12-40/1959 con la quale l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica si arroga il monopolio degli studi e delle statistiche dell’impatto del nucleare sulla salute pubblica, di fatto manipolati e tenuti segreti da quarant’anni. È in corso una petizione per l’abrogazione di questa legge-truffa che impedisce all’Organizzazione Mondiale della Sanità di svolgere le sue funzioni per ripristinare la verità sui danni provocati dalla radioattività e dall’uso di scorie nucleari.
Peraltro, l’utilizzo di U238 (scoria) in campo civile ha raggiunto l’apice, lo troviamo dappertutto: nei contrappesi degli aerei, nelle chiglie delle barche a vela nelle schermature degli ospedali, nella produzione di ceramiche, nella fabbricazione di determinati componenti elettronici, nelle leghe degli acciai, nei contrappesi per i muletti sollevatori (essendo molto pesanti), nelle lenti degli occhiali, nelle protesi dentarie, nei gioielli, nelle mazze da golf e persino nei concimi.
Si arriva ad usare il Thorio 232 (emettitore alfa) per costruire le reticelle incandescenti per le lampade a gas che vengono utilizzate in campeggio, e che propagano particelle alfa fino ad 1 Km. di distanza. Queste reticelle contengono ognuna dai 50 ai 250 mg di Thorio 232 – come risulta dai dati pubblicati dalla Nuclear Regulatory Commission americana in un suo documento (NUREG-1717) – e in un solo anno sono state prodotte circa 50 milioni di retine, eliminando parte delle scorie in questo modo.
SEGRETI E BUGIE
Scienziati e politici continuano a pensarla come Massimo Brutti, sottosegretario alla Difesa, il quale ha dichiarato: “Sull’uranio impoverito non c’è una certezza, non si sa qual è il rischio…”, ma questo atteggiamento irresponsabile non regge, quando emerge che in realtà esistono ben 17.000 documenti declassificati dal DoD (Dipartimento della Difesa USA) nel 1999, che dimostrano il contrario e quando sappiamo che l’uso dell’U.I. è stato dichiarato “arma disumana” dall’ONU nel 1996, assieme alle mine antiuomo.
Per non parlare poi dell’utilizzo di navi a propulsione nucleare, che approdano anche nei nostri porti, e di tutte quelle navi e sommergibili nucleari affondati nel Mar Mediterraneo (come risulta da un FOIA che ne contaminano gradualmente le acque. Per conoscere i piani di emergenza relativi alla popolazione civile, ad esempio di Taranto, PeaceLink aveva inviato una lettera al senatore Rocco Loreto (DS, Commissione Difesa) e al Prefetto di Taranto. (L’Osservatorio Etico Ambientale ha inviato la stessa lettera al Prefetto di Trieste N.d.R.)
Riportiamo uno stralcio della risposta del governo italiano, relativa però solo agli aspetti militari: “Tenuto conto che unità a propulsione nucleare operano anche nel Mediterraneo da moltissimi anni senza che risultino essersi verificati – almeno per quanto concerne le unità militari alleate – incidenti significativi o situazioni di particolare emergenza, appare legittimo constatare come questa tipologia di mezzi disponga di sistemi propulsivi con idonee caratteristiche di protezione e sicurezza”.
Su quest’ultima affermazione occorrerebbe una maggiore cautela, tenuto conto che i dati raccolti da Greenpeace nel dossier Neptune III (presentato a Roma il 6.5.89), parlano di 27 sottomarini nucleari finiti in fondo al mare con il loro carico atomico: 5 sovietici, 4 americani, 4 francesi, e 3 britannici. Greenpeace ha raccolto informazioni direttamente dalla documentazione del Congresso USA sui circa 1.276 incidenti, anche se non tutti nucleari, accaduti in mare: 50 atomiche si trovano ora sui fondali marini.
MEGLIO ATTIVI CHE RADIOATTIVI
Ulteriori elementi ci pervengono dal Prof. Giuseppe Longo, fisico dell’Università di Bologna, che documenta: “In un periodo di 23 anni, dal 1963 al 1986, sono stati resi noti 14 incidenti gravi a sottomarini nucleari, 7 dei quali a unità sovietiche e statunitensi. In 5 casi l’incidente si è concluso con l’affondamento del sottomarino (2 statunitensi e 3 sovietici). Negli altri casi si sono verificate esplosioni, incendi (fino a 90 morti) ed inquinamento radioattivo delle acque marine. I reattori utilizzati per la propulsione di mezzi militari navali pongono problemi di sicurezza certamente non inferiori a quelli delle centrali elettronucleari civili. Le caratteristiche dei reattori civili e militari sono analoghe ma su un mezzo navale non possono essere imbarcate pesanti schermature di calcestruzzo, né potrà sempre essere garantita nelle vicinanze un’adeguata assistenza in caso di incidente. E gli incidenti ai sottomarini nucleari sono più frequenti di quanto comunemente si pensi”.
L’Osservatorio Etico Ambientale è aperto alla collaborazione con tutti i soggetti e le associazioni interessate, per cominciare a contrastare quest’azione di riciclaggio criminale nei confronti dell’Umanità. Altrimenti dalla Peste Radioattiva non ci sarà scampo. Basti vedere l’aumento dei casi di cancro, sicuramente generato dall’innalzamento della radioattività ambientale.
www.laviadiuscita.net
Lascia un commento